LETTERS FROM THE COLONY - Vignette

Nuclear Blast
Gli svedesi ritornano col nuovo album forti di un contratto con una delle case più potenti nel genere metal. La band fa parte del cosiddetto genere “Djent” ovvero l’estremizzazione del progressive metal, che ha dato anche gruppi favolosi e qualche tonfo, e dietro questa band ci sono dei musicisti conosciuti anche nei bravissimi October Tide. L’opener “Galax” viene aperta da un arpeggio arioso di chitarra, quasi gilmouriano, ma è solo un impressione, perché arriva la batteria e il growl a devastare il tutto in senso buono; controtempi, chitarre compresse, blast beats, ritmi techno/death e influenza jazz frullata in questo proiettile, ma è caldo e rovente, non è tecnica fine a se stessa; riff stoppati, chitarre soliste virtuose e aggressività dosata a dovere con straordinarie aperture melodiche in contrasto. “Erasing contrast” primo singolo dei nostri è fatto da controtempi, riff stoppati e nervosi e basso che segue la manovra; il growl è potente e carico di rabbia, i tempi hanno anche un rallentamento con melodie sinistre e un lavoro enorme di basso; poi si torna ai tempi spezzati per gli assoli schizoidi di chitarra.

“The final warning” è incentrato su controtempi di batteria, basso e chitarre questi compressi, lo scream è selvaggio e folle, c’è anche un rallentamento dove la band sfoggia un atteggiamento alla Meshuggah, ovvero devastazione ritmico/sonora senza dare punti di riferimento, grande lavoro di tutta la band. “This creature will haunts us forever” è una breve strumentale ariosa, arpeggi di chitarre; melodia a profusione con un’influenza floydiana per certi versi. “Terminus” è terremotante, un terremoto vero ritmico, controtempi, basso pulsante e chitarre compresse che incidono riff sinistri; il brano è tecnicamente eccelso, la batteria e tutto l’insieme rallenta con inserimenti melodici in sottofondo, ma è solo una scheggia compositiva nell’economia compositiva dei nostri che tende a devastare con gusto; la melodia sorprende all’improvviso con arpeggi di chitarra lenti, quasi a rappresentare la quiete dopo la tempesta, forse. La titrletrack è lunga quasi tredici minuti di contorsioni ritmiche e scream death metal; le chitarre sono una rete intricata di riff ma anche pause improvvise melodiche jazzate, grande apertura mentale questi ragazzi; per poi deflagrare con controtempi e con assoli di chitarra sghembi e arpeggi in sottofondo per poi concludersi placidamente. Un disco che più lo si ascolta, più si comprende; perché qui la complessità e la tecnica è molta ma soprattutto usata in modo intelligente con melodia dosata, aggressività e cuore. 

Voto: 8.5/10  

Matteo ”Thrasher80”Mapelli