SAINT VITUS - Traffic Club, Roma - Mercoledi 11 Ottobre 2017


Vedere i Saint Vitus dal vivo, tutt'ora equivale ad un'esperienza mistica. I guru del Doom americano ancora oggi, nonostante la semplicità compositiva dei loro albums, riescono ad avere quel quid viscerale che manca a molti altri attualmente. Mi trovo quindi ad esprimere le mie impressioni dopo questo battesimo di fuoco che ho ricevuto ieri sera, 12 ottobre, al Traffic di Roma. Un concerto a cui di sicuro non potevo mancare. I nostri si presentano con una band di spalla, i connazionali Mos Generator, che presentano una buona mistura di Heavy Metal classico e Doom Metal, e riscaldano abbastanza il pubblico fino a quando... non si presentano i guru del Doom in persona. E lì un boato tra il pubblico li riceve. Segno che anche qua in Italia i nostri hanno un ottimo seguito. Ma la sorpresa a cui non ero preparato sta al centro del palco. ACCIDENTI! Quello lì è Scott Reagers, il cantante originario! Che giornata! In effetti non mi ero informato molto, e solo ora scopro che essendo Wino molto occupato con i suoi Obsessed, cede il posto per i live al grande Scott, che continua quindi strettamente a collaborare con i Vitus. 

Di sicuro, una cosa gradita per tutti i fans. Ed ecco qui Reagers, con la sua zazzera eccessivamente vaporosa, che agita gli animi come un forsennato, e dimostra che per lui l'età non conta e che gli piace tanto cantare avvicinando se stesso ed il microfono "dentro" le prime file che coreggiano. Ottima prova anche il nuovo batterista, Henry Vasquez, che sostituisce il defunto (RIP) Armando Acosta, egli si dimostra potentissimo su tutte le variazioni di ritmo. A livello scenico, voglio sottolineare, anche se non fregherà a molti, che Vasquez si presenta anche bene, indossando orgogliosamente una maglietta dei Blue Cheer, proiettandoci così anche iconograficamente in puro periodo Heavy Rock fine '60s/inizio '70s. Penso che ogni concerto dei Vitus possa essere considerato una specie di "viaggio nel tempo" musicale che ci proietta nei '70 del ventesimo secolo. E la sensazione di non sapere più in che epoca si è, pare davvero una goduria. Il bassista Patrick Bruders (che sostituisce a tempo indeterminato il titolare Mark Adams nei live) va anche lui alla grande aggiungendo la sua potenza terremotante. Ho tenuto per ultimo il simbolo dei Vitus, il leggendario chitarrista Dave Chandler, perché se ne deve parlare come si deve. Lui, con la sua immagine di hippy ultra-tatuato, sempre con il bandana attorno alla testa che gli tiene fermi i suoi vaporosi ed ingombranti capelli, da lui sempre orgogliosamente tenuti lunghissimi anche ora che sono marcatamente brizzolati, lui insomma per tutto ciò che rappresenta, e che ha rappresentato per moltissimi anni, musicalmente quanto iconograficamente per i SV e per tutto il movimento Doom, è un personaggio da "venerare". Personalmente ho passato buona parte del concerto addossato alla transenna sul lato sinistro della platea (la destra dal palco), proprio sotto di lui, e sotto alla cassa che gettava fuori un suono di chitarra distorta spaventosamente caldo e 'celestiale', a volume altissimo e assordante, ma perfettamente musicale. 

Ho visto il grande Chandler con pochissimi effetti sulla pedaliera, tanto il suo stile è semplice e viscerale: un suono metallico ricco di frequenze basse per le ritmiche (con un Wah Wah "Cry Baby" da usare ognitanto) pastoso e troppo bello da sentire su quelle ritmiche rallentate e plumbee che hanno fatto grandi i Vitus, ed un suono più squillante e caotico (credo sia per opera di un chorus o di un flanger) per gli assoli, minimali e veloci quanto energici ed aggressivi. Tutto qui. E con queste poche cose, diventa un gigante, e si fa poco a scoprire che lui non cambia tra dischi e concerti: la sua icona è dominante, la sua chitarra pure, ed è troppo bello trovarsi proprio di fronte un personaggio di forte impatto, che prima d'ora si era visto solo sulle riviste e sulle copertine dei dischi... suonare difronte a te. La gente esultava pure per questo. Quando con quel suono ha attaccato, ad esempio, l'inconfondibile riff di "White Stallions", unico vero brano speed metal della band, la pit sotto al palco è impazzita per il pogo... e in seguito si rimarca la grande partecipazione per i cori del refrain assieme a Scott che cantava praticamente attorniato dalle braccia esultanti dei ragazzi delle prime file. Stessa cosa più avanti con il brano-simbolo "Saint Vitus": il pubblico che scandiva "Saint Vitus" e Reagers pareva quasi seduto in mezzo a loro. L'entusiasmo generale è stata una componente primaria dello show. Vado a casa molto molto appagato, non foss'altro che, nonostante l'esperienza traumatica per le mie orecchie, le frequenze basse della chitarra, primeggianti sotto la cassa dov'ero posizionato, mi hanno davvero ricaricato di energia come fossi un'alcalina. Ci voleva siffatta macchina nel tempo al prezzo di un concerto per ottenere questo gradevole effetto. Bravi St. Vitus, ci rivediamo alla prossima!

Alessio Secondini Morelli